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LA LINGUA “PADANESE” - II-a parte




Questo articolo è stato pubblicato sul n° 14 di "Etnie" (1988) con la seguente presentazione: Con un’attenta analisi di taluni tratti fonologici, morfosintattici e lessicali delle parlate padanesi, che ne mettono in risalto la netta separazione dai dialetti italiani e la parentela con le altre varietà di galloromanzo, il prof. Hull termina la sua avvincente ricerca e lancia, attraverso l’elaborazione di un codice ortografico comune, la questione della, forse possibile, creazione di una “koiné” reto-cisalpina.


Limitazioni di spazio ci permettono di accennare soltanto brevemente ad alcuni dei tratti specifici delle parlate padanesi, di cui intendiamo soprattutto segnalare quegli aspetti che le separano in modo vistoso dai dialetti italiani e che mettono in risalto la loro parentela con le altre varietà del galloromanzo.

Le diverse forme dialettali sono state di proposito ridotte a prototipi retocisalpini raccolti in una grafia unitaria di tipo etimologico e capace di abbracciare ogni variante fonetica. (1)

Nel vocalismo tonico spicca anzitutto la potenziale dittongazione di tutte le vocali toniche in posizione libera (2): i tipi reto-cisalpini mär (növ) concordano pienamente con il francese mer, poil, saveur, miei, neuf, mentre discordano dalle forme mare, pelo, sapore, mele, nove del toscano popolare e dei dialetti metafonizzanti della Penisola stricto sensu. (3) Sono caratteristiche di gran parte della Padania i fonemi palatali ü (lat. Ū) e ö (üo < uo < lat. Ŏ); probabili riflessi dell’antico sostrato gallico del paese: nelle zone centrali e occidentali si pronuncia infatti mür, cör, più o meno come in francese (mur, coeur), e tali suoni sono indigeni in Padania e non “stranieri” o “francesi” come credono tanti. (4) Il padanese, come il francese, ha sviluppato una serie di vocali nasali toniche, così i tipi paun/pan, serein, bon (bõ), vin (vĩ) corrispondono al fr. pain, serein, bon, vin. Ma il tratto più importante del vocalismo del padanese quale lingua galloromanza è senz’altro la caduta regolare di tutte le vocali atone finali eccetto -a: camp ‘campo’, part ‘parte’, quist ‘questi’ (ma pòrta, fenèstra). (5)

Non esiterei ad asserire che ovunque incontriamo in territorio padano forme intere come campo, parte, quisti (cioè in Liguria, nel Veneto, e in parte altrove), si tratta in realtà di influssi peninsulari (italoromanzi) recenti o medioevali. (6)

Profonde differenze strutturali segnano pure il sistema consonantico del gruppo reto-cisalpino di fronte all’italiano. Oltre allo scempiamento delle doppie (copa ‘coppa’, maza ‘ammazza’) e all’indebolimento delle scempie intervocaliche LATINU > ladin, SECURU > segur, SUDARE > suar, SCALA > scara), sono da notarsi l’ormai rara palatalizzazione spontanea (nell’ovest) o reattiva (nell’est) delle velari (castel, gat, formiga) (7) e tendenze fonetiche quali la soluzione galloromanza dei nessi -ct-, -cs- (-x-) (FACTU > fait, fač, LAXARE > laissar, lašar), la riduzione di -gli- a -j- (fója ‘foglia’, aj ‘aglio’) e la desonorizzazione delle finali (neiv > neif ‘neve’, verd > vert ‘verde’).

I fattori principali della scissione fra i dialetti montani (alpini ed appenninici) da una parte e le parlate della pianura dall’altra sono i medesimi che vengono invocati dagli studiosi favorevoli all’indipendenza del “ladino” (per loro solo il grigionese, il dolomitico e il friulano) dal “padano”. In realtà si tratta delle differenze tra dialetti conservativi o addirittura arcaici e dialetti innovatori (e spesso aperti a potenti influssi italiani). A parte qualche particolarità del vocalismo tonico (ad es. resti dell’antica metafonia galloromanza nella Ladinia occidentale e centrale e in Romagna, e le dittongazioni spontanee del friulano) osserviamo nella fisionomia delle varietà periferiche del padanese una forte resistenza a quelle assimilazioni di fonemi consonantici che in pianura hanno portato tra l’altro all’assimilazione di č, ğ (čiel > tsiel > siel, ğent > dzent > zent), alla mutazione di ģ, š, ž, ts, dz (ģa > ğa > dza > za ‘già’, peš > pes ‘pesce’, bažar > bazar ‘baciare’, tsapa > sapa ‘zappa’, mèdza > mèza ‘mezza’), al ripristino di -d- (dal lat. -D-: crua > cruda) e alla palatalizzazione dei gruppi pl, bl, fi, cl, gi (blanc > bianc, clav > ciav = čav).

Perduta in vaste aree della bassa Padania è anche la -s finale, un tempo normale in forme sostantivali e verbali: las casas / les cases > la casa / le case, tu tires > tu tir(e), egl mòrts ‘i morti’ > i mòrt. (8)

Segnaliamo qualche altra caratteristica della morfosintassi del retocisalpino nella quale sussistono tuttora tutti i più importanti elementi e tendenze del galloromanzo comune. Nei dialetti più genuini gli aggettivi ubbidiscono a un unico modello, come avviene in francese, ad es. un om fòrt ~ una femna fòrta ‘un homme fort ~ une femme forte’. Pure obbligatorio è l’uso del soggetto pronominale con le forme finite del verbo: eu vuogl ‘voglio’, tu dis ‘dici’, ieu eu vegn (in pianura mi eu vegn) ‘io vengo’: si confrontino i costrutti francesi je veux, tu dis, moi je viens. Le parlate cisalpine aggiungono volentieri questo pronome a quello relativo (tipo la tousa che (el) la canta ‘la ragazza che canta’). Il tipo di costrutto om va (=francese on va ‘si va’), una volta alquanto diffuso in territorio cisalpino, ha soppiantato nei dialetti della Lombardia orientale le forme di quarta persona del verbo: lom. em porta = portem ‘portiamo’ (cfr. on porte = nous portons nel francese popolare). Un’altra caratteristica condivisa con il francese è l’uso dell’atono eu (< EGO) alla quarta (e alla quinta) persona del verbo: eu rivem = j’arrivons (forma dialettale per ‘nous arrivons’). In quasi tutta la sezione cisalpina dell’anfizona si notano sostituzioni di certi pronomi personali, cioè lui rimpiazza él tonico, e similmente élla cede a liei, éls, éllas / élles > lour ‘loro’, ieu > mi ‘io’, tu > ti ‘tu’, mei > mi ‘me’, tei-ti ‘te’, gli > ghe ‘gli, le’. Interessante la presenza, sia in padanese che in francese, di un pronome impersonale, probabile relitto (calcato) del superstrato germanico, ad es. el me par ‘mi pare’, el coventa partir ‘bisogna partire’ (cfr. il me parait, il faut partir).

Un aspetto del verbo padanese che è arrivato a investire la sintassi dell’italiano del Nord è la sostituzione del perfetto col passato remoto il quale sopravvive però come tempo letterario e persiste in qualche vernacolo emiliano-romagnolo. L’italiano regionale offre anche frequenti riflessi di altri tratti della sintassi indigena: alludiamo ai costrutti èsser drieu a + infinito per indicare azioni continue (l’es drieu a scriver ‘sta scrivendo’, cfr. in qualche dialetto francese il tipo il est après d’écrire); alla negazione dell’imperativo mediante il verbo star (no star a cridar ‘non gridare’); all’uso obbligatorio di un avverbio rafforzativo nelle espressioni negative (el (no) parla miga ‘il ne parle pas/(mie)’, tu (no) dormes brixa / (bric, nient, pa ecc.) ‘tu ne dors pas’); e all’analogo rafforzamento dei dimostrativi (questa cadriega qui ‘cette chaise-ci’, quel prieved li ‘ce prêtre-là’).

Fra i pronomi indefiniti, gli avverbi, le preposizioni e le congiunzioni si rivelano numerose le formazioni prettamente padanesi come negun ‘nessuno’, nuglia, negot(a) ‘niente’, vergot(a), alc, alchet ‘qualcosa’, medem ‘stesso’, minca ‘ogni’, massa ‘troppo’, avonda, assai ‘abbastanza’. nomai ‘soltanto’, just(a) ‘appena, appunto’, debon, dessèn ‘davvero’, cour(a) ‘quando’, encuoi (uoi, oz) ‘oggi’, ancamò, amò ‘ancora’, drieu, davors ‘dietro; dopo’, despuoi ‘da allora’ (fr. depuis). Notevolissimo il fenomeno de ‘verbo localizzato’, di ispirazione germanica, ad es. star sus ‘alzarsi’, meter sus ‘erigere’, trasios ‘demolire‘.

La maggior parte del vocabolario comune dei dialetti reto-cisalpini consiste di termini romanzi e latini che si trovano in tutte le lingue neolatine dell’Europa occidentale e centrale. Assai più ristretti numericamente sono i relitti dei sostrati gallico e pregallico e gli apporti lessicali del superstrato germanico dell’alto Medioevo. Imponente invece è l’influsso dei recenti superstrati e adstrati sui diversi dialetti padanesi, soprattutto l’elemento italiano nel lessico del padano (incluso il friulano) e l’elemento alto-tedesco e tedesco moderno nel ladino grigionese e dolomitico. Vistosi, seppur meno importanti, sono i prestiti francesi e occitanici in piemontese. Quello che ci interessa in modo particolare è però il lessico tipico del padanese concepito come unità linguistica.

Molto significative sono le numerose voci che confermano la stretta parentela fra il padanese e le altre lingue galloromanze, ad es. àmeda ‘zia’ (fr. tante), av ‘nonno’ (fr. aïeul), cadriega ‘sedia’ (fr. chaise), fat ‘insipido’ (fr. fade), feida ‘pecora’ (occ. feda), got ‘bicchiere’ (occ. got, fr. godet), empremudar ‘prendere a prestito’ (fr. emprunter), maxon (fr. maison), mogliar ‘bagnare’ (fr. mouiller), mocar ‘spegnere’ (fr. moucher), menton ‘mento’ (fr. menton), meisson ‘messe’ (fr. moisson), mica ‘pagnotta’ (fr. miche), nèza ‘nipote, f.’ (fr. nièce), paveglion ‘farfalla’ (fr. pavillon, papillon), plorar, plurar ‘piangere’ (fr. pleurer), saxon ‘stagione’ (fr. saison). Un numero discreto di vocaboli troppo antichi per potersi definire prestiti dall’italiano sono in compenso testimonianza della secolare orientazione meridionale della Padania, ad es. bevolc ‘bifolco’, cadin ‘catino’, descedar ‘destare’, grem ‘grembo’, ledam ‘letame’, menestra, mescedar ‘mescitare’, miz / niz ‘mézzo’, massaira ‘massaia’, piegora, spuzar ‘puzzare’, regordar ‘ricordare’, refudar ‘rifiutare’, roncar, seron ‘siero’. Nessuna di queste voci si riscontra nel galloromanzo transalpino.

Abbiamo poi un’abbondanza di vocaboli padanesi che non sono sempre collegabili a lessemi francesi e occitanici, ma che contrastano tuttavia con l’uso lessicale della Toscana e della Penisola in generale. Formano così parte del lessico padanese ‘classico’: barba (m.) ‘zio’, barbix ‘baffi’, biàdeg ‘nipotino’, hboleid ‘fungo’, bugnon ‘fignolo’, calegair ‘calzolaio’, calzair ‘scarpa’, çanc ‘sinistro’, catar ‘trovare; raccogliere’, cegaira ‘nebbia’, cioc ‘ubriaco’, cocombre ‘cetriolo’, compagn ‘simile’, covatar ‘nascondere, coprire’, coveida ‘brama’, cop ‘tegolo’, cosp ‘zoccolo’, em)pizar ‘accendere’, fallar ‘sbagliare’, forcellina (piron) ‘forchetta’, formenton ‘granturco’, franc ‘lira’, geld ‘frigido’, gnec ‘malaticcio’, liguoir ‘ramarro’, luxour ‘splendore’, marangon ‘falegname’, molleta ‘arrotino’, muola ‘macina’, padimar ‘consolare’, presça ‘fretta’, rampin ‘gancio’, rauba ‘cosa’, ladin ‘sciolto’, ninzar ‘intaccare, scolpire’, lugànega ‘salsiccia’, pander ‘annunciare’, rexentar ‘sciaquare’, sabla, sablon ‘rena’, sangueta ‘mignatta’, segar ‘falciare’, sarir ‘sarchiare’, sopressar ‘stirare’, tòc ‘pezzo’, tomàtes ‘pomodoro’, travonder ‘inghiottire’, tuoisseg ‘veleno’, zivolar (sublar) ‘fischiare’.

L’unità lessicale del padanese, come quella di qualsiasi lingua frantumata, è naturalmente relativa. Per un gran numero di concetti i dialetti occidentali presentano una voce sconosciuta in quelli orientali, e viceversa. Nella seguente lista di doppioni il primo termine è sempre quello occidentale: bigat / cavalier ‘baco da seta’, brèn, crusca / sémola, rémol(a) ‘crusca’, càmola / tarma ‘tigna’, ferrair / favre ‘fabbro’, gudaz, padrin / sàntol ‘padrino’ (tosc. compare), lassair / lagar ‘lasciare’, lavandin / seglair ‘acquaio’, mascherpa / poïna ‘ricotta’, ninçuola / noxella ‘nocciuola’, pigliar / tuor ‘prendere’, senestre / çanc ‘sinistro’, solair / granair ‘soffitta’, tiret / casset ‘cassetto’. Un’altra importante divisione lessematica contrasta l’uso cisalpino con quello retico (e con quest’ultimo concorda talvolta anche il ladino delle Dolomiti). Al retico baselga corrisponde il cisalpino gliesia ‘chiesa’, e così anche caxuol / formàdeg, formaj ‘cacio, formaggio’, clauder / serrar ‘chiudere’, còcen / ross ‘rosso’, coudex / libre ‘libro’, èdema / setema(u)na ‘settimana’, figliol / figlioç ‘figlioccio’, folin / calijen ‘fuliggine’, jentar / disnar ‘pranzare’, lisura / jointura ‘congiuntura’, meil / pom ‘mela’, meisa / taula ‘tavola’, mur / rat, pondeg, sourex ‘topo’, neir / negre ‘nero’, saglir / saultar ‘saltare’, solegl / soul ‘sole’, tema / pavoira ‘paura’, zevrar / deslaitar, desierar ‘divezzare’ (cf. il fr. sevrer).

CONCLUSIONE

Ammessa la fondamentale unità delle parlate reto-cisalpine si pone la questione della loro unificazione. Il sistema di trascrizione che abbiamo elaborato sul fondamento delle caratteristiche comuni del gruppo costituisce una base formale capace di servire non solo da spunto per una riforma (o sistemazione) ortografica dei singoli dialetti padanesi, ma si presta anche come codice in cui registrare il ricchissimo ma mai radunato tesoro lessicale della lingua.

Anche chi dubita del valore di una sintetica koiné padanese destinata a concorrere anacronisticamente con l’italiano pan-padano, non potrà smentire l’auspicabilità, sia pure solo come compito scientifico, di un equivalente cisalpino del Tresor dòu Felibrige e dei dizionari pan-occitanici compilati nei decenni recenti.

Allo scopo di illustrare la fattibilità dell’unificazione ortografica — il primo passo verso la creazione di una koiné reto-cisalpina — presentiamo sotto otto branetti tolti da vari autori dialettali, tutti ridotti alla nostra comune “grafia padanese” e paragonati con l’attuale grafia regionale:

1. Piemontese

Puoi pauc a pauc el ha mollau de cau la pluova e el soul, surtend fòra da les nìvoles, el ha fait luxer ent l’aria les ùltimes stizes. Entloura eu son surtiu encima a l’aira a cuoglier les granes de tempèsta ch’elles eren ancoura nient sleguades. Les gallines elles cacaraven ch’elles semegliaven mates e les rondolines empleniven l’aria degl suoi squiz, voland tut en gir a la cassina.

Peui pòch a pòch a l’ha molà ‘d cò la pieuva e ‘1 sol, surtend fòra da le nìvole, l’ha fàit luse ant l’aria j’ùltime stisse. Anlora i son surtì ansima a l’àira a cheuje le gran-e ‘d tempesta ch’a j’ero ancora nen slinguà. Le galin-e cacaravo ch’a smijavo mate e le rondolin-e ampinìo l’aria dij sò squiss, voland tut an gir a la cassin-a (9).

2. Lombardo occidentale (milanese)

(Eu) s’era setada en tèrra, col cau en maun, e egl gombed sugl genuogl: me zifolava el vent ent egl cavegl: demanamaun che vegneiva un quagl bof, el me portava come una voux che vegna de lontaun: ella me pareiva la soa voux, (eu) alzava egl uogl, (eu) guardava entorna: ma el es nuoit, el es senza luna, e no se ved negot. (Eu) clame… Pedrin! Pedrin!… Neissun respond.

S’era settada in terra, col coo in man, e i gombet sui genoeucc: me ziffolava el vent in di cavij: demeneman che vegneva on quaj bôff, el me portava come ona vôs che vegna de lontan: la me pareva la soa vôs, alzava i oeucc, guardava intorna: ma l’è nott, l’è senza luna, e no se vede nagott. Ciami… Pedrin! Pedrin!… Nissun respond (10).

3. Ligure (genovese)

Cruoses rìpides, streites, lastregades da riçuogl redondi con la passiera de madoin. Cruosetes fra does muraglies flanchejades da lo passaman de fèrro e dagl lampioin. Portetes misteriouses vernixades de verde con targheta e sonaglin. Copies [cobles] fermes ent egl canti plui appartades, dònnes dagl portelleti degl balcoin.

Crêuze ripide, strèite, lastregae da rissêu riondi co’ a passüa de möin. Crêuzette fra due mûage fiarichezzae da-o passaman de faero e dai lampioin. Portette misteriose vernixae de verde con targhetta e sûnaggin. Coppie ferme in ti canti ciù appartae, donne da-i portelletti di barcoin. (11)

4. Romagnolo

Un tòc, les does, el sona el campanon. Per la contrada les scarpes elles baten sugl saiss e drenta les cambres chi senten egl nuostre pass egl scrichen egl lieit de fòglies de formenton… Un àndit scur, un gat e puoi a lí sota el lum m’una fenéstra bassa; drenta una vècia [vègia] a smasar ent una cassa: les does de la nuoit (a), per una berreta rota!

Un tòc, al dò, e’ sòuna e’ Campanòun. Par la cuntrèda al schèrpi al batt si sas e dréinta al cambri chi sint i nóst pass e’ scréca i létt ad fôi ‘d furmantòun… Un andìt schéur, un gatt e pu a lè sòta ancòura e’ lóm m’una finèstra bassa; dréinta una vècia a smasè t’una cassa: al dò dla nòta, pr’una brèta ròta! (12)

5. Veneto (feltrino rustico)

Sot un covèrt larg ghe n’es una plui bèlla fontana che buta; denanzi les fenèstres vasi de flours, d’entorn a la casa, el par che sia sempre fèsfa, che ghe n’es un orden e una netixia straordenaria; en tèrra no se vedereiv una paglia, gnanca a cercar-la. Un bèl tosat, mòro, el es sentau sus una banca piturada de verd; el guarda pensieriouso sus per egl bosc; el ha la fuma en boca, quasi studada.

Sot on cuert larc ghe n’è na pì bela fontana che buta; denanzi le finestre vasi de fior; d’intorn a la casa, ‘l par che sia sempre festa, chè ghe n’è ‘n orden e na netisia straordenargia; in tera no se vederee na paja, gnanca a zercarla. ‘N bel tosat, moro, l’è sentà su na banca piturada de vert; el varda pensieroso su pa i bosc; l’à la fuma in boca, quasi stuada. (13)

6. Friulano

Egl ieren tre quatre dis che Linda ella aveva alc. A no aveir mai nuglia, alc el es alc! Linda ella iera contenta. “Gli el dixerai esnuoit,” ella pensà dut el di. Sierrada l’ostaria — egl sierraven atorn dieix — egl cenaren come sempre, lour doi de bessogl, dessovra. Ella lavò la massaría, la meté sul desgotaplats. Lui el era quiet e el sbesegliava plancut depruouv de un campanèl elétric. “Marfin!… eu hai un fruit!”

A’ jerin tre quatri dîs che Linde ‘e veve alc. A no vê mai nuje, alc al è alc! Linde ‘e jere contente. “J al disarai usgnot”, ‘e pensà dut il di. Siarade l’ostarie — a’ siaravin tôr dîs — a’ cenàrin come simpri, lôr doi di bessoi, disore… ‘E lavà la massarie, la meté sul disgoteplàz. Lui al jere cuiet e al sbisiave plancut daprûf di un campanel eletric. “Martin!… ’o ai un frut!” (14)

7. Ladino dolomitico (gardenese)

Encuoi, doménega…, davors la gran messa avomnos tòlt comiau de nòssi òmes sun plaza de gliexa. El capellan Favé ha teniu una rexonada e ha dait la bendizion a quegl, che mosseiva laissar l’encasa, senza saveir se egl la podeiva vedeir amò una vegada. Gent braglava. Anca vègli egl aveiva las làgremes ent egl uogli. Quegl che fòva stati cridai a jir a combater, se òva amò pestau e ordenau.

Ncuëi, dumënia, dò la gran messa ons tëut cumià da nosc uëmes sun piaza de dlieja. L caplan Favé a tenì na rujnèda y à dat la bendiscion a chëi, che messòva iascé l ncësa, zënza savëi, sce i la pudòva udëi mò n iëde. Jent bradlava. Nce vedli ëi òva la lègrimes ti uëdli. Chëi che fòva stac cherdei a jì a cumbater, se òva mò pistà e urdenà. (15)

8. Ladino retico (alto engadinese)

El stoveiva ensèn bauld rir, courch’el vegnif (f)òr del tren. Seguentre dex-sèt ans d’absenza torneiva el a casa e sortiva una stazion mema bauld. Apòsta. Negun no lo speitaeiva e segur che negun no brameiva sieu arriv. Seguentre aveir depositau sias dos greivas valis se metet el en via vèrs casa. Ensí, cols mauns vuoids e senza peis terrestre, voleiva el far quel ùltim tuoc via chi l’era stada ensí crapousa el di de sia partenza!

El stuvaiva insè bod rir, cur ch’el gnit our dal tren. Zieva deschset ans d’absenza turnaiva el a chesa e sortiva üna staziun memma bod. Aposta. Üngün nu’l spettaiva e sgür ch’üngün nu bramaiva sieu arriv. Zieva avair deposito sias duos greivas valischs as mettet el in via vers chesa. Uschè, culs mauns vöds e sainza pais terrester, vulaiva ci fer quel ultim töch via chi l’eira steda uschè crappusa il di da sia partenza! (16)

Varianti unificabili di un’unica lingua, o tante piccole lingue. È la discussione delle caratteristiche ideali dell’auspicata ‘lingua padanese’ (e le scelte arbitrarie che tale lavoro di sintesi richiederebbe): la affidiamo al futuro e alla volontà collettiva degli eredi del patrimonio linguistico che accomuna i popoli dell’Italia settentrionale e della Svizzera meridionale.

Intanto, per terminare il presente discorso, do un breve campione del linguaggio sintetico in cui ho tradotto il Vangelo di San Marco. Sono stati adoperati, oltre la grafia unificata, un consonantismo conservativo, un vocalismo evoluto più o meno simile a quello che sta alla base del milanese, una morfosintassi “cisalpina” ispirata al friulano, e un lessico volutamente panpadanese. Ecco i primi undici versetti del primo capitolo:

EL VANGELI DE SAINT MARC TRADOIT EN LENGUA PADANEISA

Capitol prim

Comenzament del Vangeli de Jesus Crist, Figl de Dieu, co ch’el es scrit en Isaia el profeta: ”Guardaid, eu tramete el mieu nonzi denanz de tei, ch’el te pareja la via”. La voux d’un chi clama ent el desért: “Preparaid la via del Segnour, egualivaid les soes sendes!” Ensi compari Joan ent el desèrt a batejar e a predegar un bateisem de penitenza per el perdon degl pecai. E l’entriega contrada de Judea e tuit egl abitants de Jerusalem jiven depruov a lui e se faxeiven batejar de lui ent el flum Jordaun, confessand egl lor pecai. Joan era vestiu de peil de cameil e el portava una ceinta de coiram entorn de la vita. El manjava cigales e miel selvàdega. E el predegava ensì: “Davors de mei el vein un chi es plui possent che ieu, e eu no sont miga degn de sbassar-me per desnoar les correjes degl suoi calzairs. Ieu eu vos hai batejai ent l’aigua, ma lui el vos batejarà ent el Spirit Saint”.

Ent quel dis Jesus rivà de Nazaret de Galilea e vans batejau de Joan ent el Jordaun. E pròpi co ch’el vegniva fuor de l’aigua, el ciel se dervi e om vit a vegnir jos souvra de lui el Spirit Saint en forma d’una colomba. E una voux rivà del ciel dixend: “Tu ses el mieu Figl amau, en tei eu hai el mieu plaxeir”.


(1) Abbiamo adattato al padanese comune (prototipico) la grafia vocalica dell’occitanico moderno, nella quale e, o rappresentano sempre vocali chiuse (e,o) e le vocali aperte (e,o) portano regolarmente l’accento grave: è,ò. Il padanese occidentale e centrale concorda con la lettura occitanica di u come (ü). Quanto alle consonanti ci siamo attenuti alla tradizionale ortografia italiana (creazione non meno padana che toscana) salvo nei seguenti casi. I digrafi italiani ci, gi rappresentano [ts] [dz] unicamente in parole di origine non-padanese e quando indicano le varianti palatalizzate di cl, gl: altrimenti si adoperano i grafemi gallo-romanzi (e tanto più adatti al sistema fonematico padanese) ç (= ci), j (= gi), e pure sc (= sci).
In posizione intervocalica e finale la sorda scempia [s] si distingue dalla s sonora con la grafia ss (messa, pass). Le geminate ll, rr, nn del proto-padanese si scrivono sempre eccetto in posizione intervocalica (rrat > rat, torr > tor, ma tèrra); tuttavia mm viene rappresentata regolarmente dalla grafia m, giustificata dal fatto che la distinzione mm ~ m andò completamente perduta in Padania mentre si continuava a lungo a contrastare foneticamente nn ~ n ecc. Le velari [k] [g] in fin di parola si scrivono -c,-g (e non -ch, -gh giacché disponiamo dei grafemi opposti -ç, -j) e il grafema x tipico dell’antico padano e del ligure moderno (nonché del veneziano xe!) corrisponde sempre agli esiti di -ć-, -si- (e talvolta -li-).

(2) Nelle zone periferiche persistono tracce delle condizioni metafoniche un tempo normali nel gallo-romanzo.

(3) Il consueto riferimento all’intera Italia come ‘la Penisola’ è naturalmente inesatto: dal punto di visita geografico occorre distinguere nettamente fra l’Italia continentale (cioè la Val Padana con la costiera ligure e l’Istria) e la vera Italia peninsulare che ha come limite settentrionale la Toscana.

(4) È più che verosimile che in passato sia il Veneto che la Romagna abbiano conosciuto ü; quanto al friulano e all’istriano (in cui gli indizi linguistici sembrano del tutto mancanti) è forse significativo il fatto che il sistema vocalico del confinante dalmatico abbia contenuto un tempo un ü senza dubbio trasmessogli dal padano (cfr. čol < cul < CŪLU).

(5) Quando però la caduta delle finali risulta difficile riappare una vocale d’appoggio che trascriviamo -e, ma che si può pronunciare a seconda dei dialetti -i, -o (-u) e persino -a: MACRU > *magr > magre (magri, magro, magra). È inoltre diffusa la variante magar nella quale si è verificata una retrazione della vocale d’appoggio di un tipo anteriore *magra.

(6) Ne fanno prova ad esempio i testi veneziani antichi in cui l’apocope è ancora frequente, e le numerosissime false regressioni del ligure presenti in modo particolare nelle parlate liguri orientali che confinano col toscano. La questione del ripristino delle finali cadute è trattata nella mia tesi (cit. a n. 8. prima parte), a § 51.

(7) Le velari [k] [g] assunsero un colorito mediopalatale (ć, ģ) nel gallo-romanzo cisalpino. È probabile che Milano fosse l’epicentro del fenomeno. Lo si riscontra ancora nei dialetti retici e lombardi alpini (e ne rimane qualche spia nel padanese di Sicilia), ma sono ormai rare le parlate che presentano ć, ģ in ogni posizione (si pensi al dialetto valtellinese di Tresivio). Nella maggior parte di questo territorio le palatali ć, ģ concorrono oggi con le varianti regressive k, g, tipi ćamp, ćosta, ćrepa, vaća, sać > camp, vaca, còsta, crepa, sac; formigra, fuoģ > magra, fuog. Nella Padania nord-orientale si realizzò indipendentemente nel tardo Medioevo una palatalizzazione condizionata di k,g legata alla semplificazione di qu, gu dinanzi ad a (quand > cant: cant < cant, agua > aga, paga > paga). Tutti e due i fenomeni vanno rigorosamente distinti dal simile sviluppo del francese.

(8) Nell’alto Medioevo il padanese, come l’antico francese e l’antico occitanico, disponeva di una declinazione a due casi (nominativo e accusativo). Con il crollo di questo sistema bicasuale si generalizzarono in linea di massima le forme accusative (oblique) al singolare (tipi mort, caval), mentre al plurale maschile le due varianti lottarono a lungo. I dialetti gallo-italici e veneti vennero a preferire i plurali nominativi (mort(i), cavagl), il romancio e l’engadinese quelli accusativi (mòrts, cavals), ma il ladino dolomitico e il friulano scelsero una soluzione di compromesso (cfr. il fri. muarts ~ cavai).

(9) Nino Autelli, La cros ëd ramuliva.

(10) Tommaso Grossi, La fuggitiva (poesia).

(11) Aldo Acquarone, Creuze de Zena (poesia).

(12) Tonino Guerra, La cuntrèda (poesia).

(13) Paolo Segato, Come che l’à fat Met a catarse na femena.

(14) Aurelio Cantoni, Une peraule!

(15) Elsa Runggaldier, Lecurdanzes de l’ava.

(16) Selina Chönz, Il retuorn.








Geoffrey Hull
"Etnie" n° 14 (1988)

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Pubblicato su: 2024-08-30 (23 letture)

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